Figure Significative

Le sante sette martiri di Taiyuan

Erano sette donne in carne e ossa come ognuna di noi: Maria Della Pace, Maria Amandina, Maria Di San Giusto, Maria Chiara, Maria Adolfina, Maria Ermellina di Gesù, Maria di Santa Natalia.
Sette giovani provenienti da famiglie che non avevano niente di straordinario.
Sette religiose molto vicine alla nostra esperienza, animate dal desiderio di servire Dio, con i loro doni, talenti e possibilità, con il loro temperamento, storia personale, mancanze e difetti. Hanno forse una caratteristica comune: il desiderio immenso di rispondere seriamente alla chiamata di Dio, d’aprire la propria vita allo Spirito e lasciarlo agire con libertà, come aveva operato in Maria di Nazaret. “Considerate la vostra chiamata. Non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti; Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre: a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio”. (I Cor. 1, 26- 29)

Sette giovani donne sante, ma anche un’intera comunità santa, fedele a Dio fino alla morte. Sette Francescane Missionarie di Maria che hanno maturato insieme l’esigenza del dono totale di sé a Dio e ai fratelli nell’amore. Il duro e faticoso cammino quotidiano è da loro percorso nella fede, sostenuto dalla comune esperienza dell’Amore di Dio, che le ha chiamate e riempite del desiderio del Suo Regno.

Maria della Pace (Marianna Giuliani)

Nasce a l’Aquila il 3 dicembre 1875, da una famiglia povera di Bolsena. Suo padre ha un carattere difficile ed i figli devono andare in Chiesa di nascosto. La madre lavora, soffre ed insegna alle figlie l’amore a Maria. E’ però colpita da una malattia e muore.
A dieci anni, Marianna conosce il dolore della perdita irrimediabile della mamma. Il padre abbandona i figli, che sono accolti dai parenti. Marianna, intelligente e molto pia, è orientata da uno zio, religioso francescano, verso le Suore Francescane Missionarie di Maria.
E’ accolta da Maria della Passione come probanda e si unisce alle ragazze che aspirano a divenire missionarie. In Francia completa gli studi e consolida la sua vocazione.
Nel 1892 comincia il noviziato. A Parigi fa diverse esperienze. Fra l’altro è incaricata di un gruppo di ragazzine molto vivaci, ma con la sua bontà e serenità riesce a calmarle. Avanza così verso la maturità.
Successivamente si reca a Vanves, dove pronuncia i primi Voti.
Più tardi partecipa alla fondazione di una comunità in Austria, che ha lingua e usi diversi.
Tutto concorre a prepararla alla partenza per la lontana missione cinese, dove sarà incaricata dell’organizzazione dell’orfanotrofio, dei lavori materiali della comunità e, poiché ha una bella voce, dovrà occuparsi anche della musica e del coro.
Maria della Pace, sempre molto silenziosa, trae forza dell’unione con Dio, in una preghiera incessante e fedele.
Era la più giovane delle sette, e prima della morte ebbe la sua ora d’angoscia e d’agonia, come Gesù. A suo esempio, però, seppe dire di sì ed offrire la propria vita.
Aveva soltanto 25 anni.

Maria Amandina (Pauline Jeurus)

Nasce il 28 dicembre 1872 a Herk- la- ville (Diest – Belgio). E’ figlia di genitori poveri, cristiani coraggiosi, che lavorano duramente per portare avanti un figlio e sei figlie, quattro delle quali si consacrano a Dio.
A sette anni rimane senza la mamma e suo padre è obbligato ad andarsene in un paese vicino. Una donna caritatevole accoglie in casa le due figlie più piccole, e Paolina riceve così affetto e protezione. La bambina, affettuosa e allegra, conquista i suoi protettori.
A 15 anni Paolina entra nel Terz’Ordine Francescano Secolare.
Sua sorella Rosalia era entrata per prima nel noviziato delle Francescane Missionarie di Maria ad Anversa. Aveva ricevuto il nome di Maria Onorina. Soltanto dopo la partenza di M. Onorina come missionaria a Ceylon (oggi Sri Lanka), anche Paolina decide di farsi religiosa, e poco dopo, la segue un’altra sorella, Matilde.
Maria Amandina è semplice, allegra, generosa, vera francescana. Il suo buon umore e la facilità con cui sa relazionarsi, attrae e crea attorno a sè un ambiente fraterno, sereno e gioioso.
E’ inviata innanzitutto a Marsiglia, per prepararsi a servire i malati nel futuro ospedale di Taiyuan. Da Marsiglia s’imbarca per la missione. La nave passa da Ceylon e a Colombo, capitale e porto, incontra la sorella Onorina. La loro gioia è grande e si salutano così: “Arrivederci… in cielo!”.
Nel dispensario della missione dà il meglio di se stessa. Alla Superiora generale descrive il suo lavoro nel modo seguente: “Ci sono 200 orfane, e molte di loro sono malate. Le curiamo nel miglior modo possibile. Giungono anche altri malati per farsi curare: se vedesse questi infelici, ne rimarrebbe spaventata! E’ difficile immaginare le piaghe che hanno, aggravate dalla mancanza d’igiene. Grazie a Dio ho imparato qualcosa a Marsiglia e faccio quello che posso per alleviarli”. Il lavoro è immenso e continuo.
Vita di sacrificio, senza riposo, vissuta con gioiosa fortezza. “Suor Amandina è per età e per temperamento la più giovane fra noi, scrive Maria Ermellina. Canta e ride tutto il giorno. Non è male! Al contrario, la croce di una missionaria deve essere portata con gioia”.
I cinesi la chiamano “la suora europea che ride sempre”.
Trascorre giorni e notti a vegliare Maria di Santa Natalia durante la sua malattia; e cura costantemente i malati, finché anche lei crolla gravemente inferma. Non ci sono molti mezzi, ma a poco a poco, la sua natura sana reagisce, e lei continua il suo servizio.
In una delle ultime lettere Maria Ermellina racconta: — “Maria Amandina diceva questa mattina che non domandava a Dio di salvare i martiri, ma di dar loro forza. Effettivamente continua a preparare le medicine, cantando come sempre”.
La sua gioia edifica chi è in carcere con lei. Sicuramente, avrà cantato il Te Deum fino alla fine.
Il Signore le aveva donato la gioia francescana, quale espressione di lode a Dio, “sommo Bene, tutto il Bene, l’unico Bene!”.

Maria di San Giusto (Anne- Francoise Moreau)

Nasce il 9 aprile 1866 nel paesino di La Faye, nella Loira (Francia). Il padre, agricoltore, ha una posizione sociale abbastanza buona. E’ molto caritatevole ed è conosciuto nel paese come colui che offre sempre aiuto a chi ne ha bisogno.
La piccola Anna eredita le virtù familiari. E’ sensibile, coraggiosa, ma talvolta silenziosa, solitaria, seria. Preferisce rimanere con sua madre piuttosto che andare a giocare con gli altri bambini, e così è la preferita e la più coccolata della casa.
Fin da adolescente rimane senza padre, perciò deve assumere la responsabilità della vendita dei prodotti agricoli. Sente tuttavia la chiamata a lasciare casa ed un giorno dice alla cugina: “Mi sembra che Dio mi chiede di fare qualcosa di grande. Voglio andare in Cina a donare la vita per i cinesi”.
Sua madre si oppone alla vocazione. Vuole che si sposi con un buon partito, ma Anna si mantiene ferma e, senza salutare i suoi, nel 1890 entra al noviziato.
Comincia con entusiasmo la vita religiosa, benché il suo cuore sanguini ancora per il distacco dalla famiglia. Poi inizia la prova: dubita della vocazione, non ne sente più l’attrattiva né lo zelo apostolico che sentiva prima. Il lavoro semplice, senza “splendore” che le è chiesto, le appare intollerabile. Il futuro le fa paura. Gli scrupoli la fanno soffrire. Dubita della presenza di Gesù nell’Eucaristia. Che cosa fare? Abbandonare il cammino? Ritornare a casa?… sarebbe la cosa più facile.
Maria di San Giusto soffre, prega, apre la sua anima a Maria della Passione, superiora generale. Le rivela il suo tormento morale con piena lealtà e le dice: “Non sono niente! E non lo sapevo!”: Maria della Passione le chiederà di ripetere costantemente le parole di Gesù: “Padre, si faccia la tua volontà e non la mia”.
La giovane, che non conosce il cammino dei grandi mistici, continuerà a soffrire per vari anni, come una creta forgiata dal vasaio.
Aiutata da Maria della Passione non tornerà indietro, ed imparerà ad aggrapparsi alla croce con fede e con tutte le forze. A poco a poco vincerà la tentazione e comincerà a gustare una pace profonda. La morte della mamma aggiunge altra sofferenza, ma la volontà di Dio è diventata la sua forza.
A Vanves impara ad utilizzare la macchina della tipografia, ed in più si adopera per far le scarpe alle sorelle e mille altri piccoli lavori che aiutano al sostentamento economico della comunità.
Dopo i voti perpetui è destinata alla Cina. Descrive il viaggio con molto umorismo e quando arriva alla missione mette tutti i suoi talenti a servizio della comunità e delle bambine orfane.
Scrive a Maria della Passione: “Mi sembra di essere stata sempre qui. Ringrazio la Santa Vergine, che ho sempre pregato, ed è una consolazione per me poterle dire, Madre, che le mie prove sono terminate: Dio dà la pace alla sua missionaria, che presto offrirà la testimonianza suprema dell’Amore.

Maria Chiara Clelia Nanetti

Nasce il 9 gennaio 1872 a Pontelagoscuro (Rovigo).
I genitori l’accolgono con gioia. In questa figlia tutto sarà veloce, precoce, ardente. Amata da tutti in casa sua e in paese, di natura impulsiva, esuberante, ricca, intelligente e allegra, impara tutto molto rapidamente.
A scuola, le maestre cercano di abituarla alla disciplina. Terminata la scuola elementare, si dedica alle faccende di casa. E’ incantevole e il mondo l’aspetta, ma — precoce anche in questo — Clelia si sente attirata verso le cose di Dio. Sarà forse il primo indizio di vocazione religiosa?
I genitori la obbligano a partecipare ad un ballo, ma in cuor suo la scelta è già stata fatta. Il fratello maggiore francescano, Barnaba, l’aiuta nel cammino di consacrazione a Dio.
A 18 anni chiede il permesso ai genitori di farsi religiosa, ma essi ritengono che il suo sia un idealismo passeggero, come capita a tante ragazze della sua età.
Clelia sa ciò che vuole, e la lotta comincia. Si sensibilizza verso la sofferenza, l’amarezza, l’odio, la disperazione e tutta la miseria del mondo, e si risveglia in lei il desiderio di offrirsi, servire, vivere ed annunciare il Vangelo.
Per mezzo del fratello conosce l’Istituto delle Francescane Missionarie di Maria, e gli orizzonti missionari le si aprono dinanzi. La sua forte personalità la spinge a prendere una ferma decisione. Il 24 gennaio 1892 entra al prenoviziato, in aprile comincia il noviziato e riceve il nome di Maria Chiara.
Di natura franca, trasparente ed ardente, Chiara personifica la missionaria allegra, generosa, dimentica di sé, a volte anche troppo veloce, ma sempre pronta a sacrificarsi per gli altri. In Cina, di fronte alla proposta del Vescovo d’allontanarsi dal luogo del pericolo, Chiara, che in quel momento sta ritornando al convento, esclama: “Fuggire, Monsignore? oh no! Siamo venute per sacrificare la nostra vita per Dio, se fosse stato necessario!” Il pericolo però incombe anche sulle orfanelle e Monsignore fa preparare due carri per trasportarle in un paese cristiano. Chiara deve accompagnare il gruppo, ma la porta della città è già bloccata e devono tornare indietro. Compiuto il proprio dovere, la missionaria ritorna contenta.
Non venne in Cina “per farsi uccidere per Gesù?”.
Nella prova finale assicurano che Chiara fu la prima a ricevere il colpo forse, perché la sua altezza attirava l’attenzione, o forse perché lei realizzava sempre con velocità quella che intuiva essere volontà di Dio. La sua ultima parola fu certamente quella che ripeteva spesso: “Sempre avanti”.

Maria Adolfina (Anne Catherine Dierks)

Nasce l’8 marzo 1866 in Ossendrecht (Olanda). Figlia di una famiglia povera, perde presto la mamma e i sei orfanelli sono accolti dai vicini. Anna va a vivere presso una famiglia d’operai, più ricchi di carità che di denaro. A scuola studia con attenzione e prega con devozione. Primeggia nel gioco; è allegra e comunicativa.
Alla fine della scuola elementare capisce che deve aiutare la famiglia adottiva e va a lavorare come operaia in una fabbrica del paese, dove è incaricata di mettere il caffè nei pacchetti.
Successivamente va a servizio presso una famiglia benestante, ed infine si trasferisce ad Anversa per fare lo stesso lavoro.
La giovane matura la propria personalità e la sua fede cresce. Capisce che la vera gioia proviene da una sorgente che non si esaurisce e che la felicità si ottiene soltanto a prezzo di sofferenza.
Comincia a capire che un Amore immenso la chiama, e il suo cuore trova pace nel desiderio di servire una fraternità senza frontiere.
Nel 1893 entra nel noviziato delle Francescane Missionarie di Maria in Olanda, ad Anversa. La domanda che le è posta: “Qual è la ragione del tuo desiderio d’essere religiosa?” risponde: “Il desiderio di soffrire per nostro Signore”.
Maria Adolfina si dedica, come la donna forte della Scrittura, ai lavori più umili e più duri, senza inutili lamenti o drammi.
Non stupisce che Maria della Passione pensi a lei per il gruppo di “religiose di virtù provata”, secondo quanto aveva chiesto il Vescovo Mons. Fogolla. Dinanzi alla foto del martire padre Vittorino, le compagne le domandano scherzando: “Non hai paura che ti taglino a pezzetti”? E lei risponde con semplicità: “No. Penso che in quel caso andrò dritta in cielo, e dopo tornerò a camminare per questo corridoio e vi dirò: sono io, non abbiate paura e ne darò un pezzo a ciascuna. Un pezzo di che cosa?’ – le domandano tutte incuriosite – “Della mia palma!” conclude allegramente.
Adolfina non si crede degna di spargere il sangue per la fede, tuttavia parte.
“Maria Adolfina è una sorella alla quale si può chiedere tutto”, dice Maria Ermellina, la superiora. “E’ una religiosa tutta donata a Dio, sempre pronta ad obbedire”. Essa scrive: “Come desidererei che Gesù mi concedesse la grazia di attrarre al suo amore le mie aiutanti cinesi! Per questo è necessario che io attui la mia missione come una vera vittima, totalmente donata a Dio ed alle anime”. Dio ascoltò il suo desiderio.
Maria Adolfina non mancò all’appuntamento con la testimonianza del dono totale della vita per la fede in Gesù.

Maria Ermellina di Gesù (Irma Grivot)

Nasce il 28 aprile 1866 a Beaune (Digione- Francia), da una modesta famiglia. Suo padre fabbricava botti e tini e sua madre era casalinga. Irma, gracile di salute, è una bambina semplice, retta, vivace, affettuosa, sensibile verso la natura e le cose di Dio.
Intelligente e studiosa, termina la scuola elementare nel 1883. La vocazione religiosa d’Irma non è né accettata né capita dai genitori, e questo crea a poco a poco una situazione, se non crudele, per lo meno molto dura per la giovane, che cerca di rendersi indipendente dando lezioni private.
Nel 1894 si presenta dalle fmm a Vanves, alla periferia di Parigi, e inizia il prenoviziato. La sua salute, apparentemente fragile, consiglia un prolungamento del soggiorno in questa comunità, per verificare se potrà resistere alla vocazione missionaria.
Dietro un’apparenza fragile, si nasconde tuttavia una volontà di ferro, che supera ogni difficoltà.
Comincia il noviziato a Les Chatelets (Francia) nel luglio dello stesso anno e riceve il nome di Maria Ermellina di Gesù. Si sa che l’ermellino è un animale che preferisce morire piuttosto che macchiarsi. Questo sarà uno dei propositi di Maria Ermellina: far arrivare lontano la fede, sempre intatta; preferire la morte al tradimento. Tutta la sua vita fu così, sino alla fine.
Era una donna piena di tenerezza e di fermezza ed allo stesso tempo umile. Attraverso la sua pazienza e carità seppe irradiare spirito di fraternità ovunque passava: prima nel noviziato, poi a Vanves dove fu incaricata della contabilità della casa, e più tardi a Marsiglia, quando si preparava ad essere infermiera per andare in missione.
Infine, come responsabile del gruppo, a Taiyuan seppe conquistare tutti: vescovi, sacerdoti, laiche consacrate, bambine, malati e per le sue sorelle fu madre, sostegno, animatrice sino alla fine.
Da dove attingeva tanta forza? Una sua frase lascia intravedere in parte questo segreto: “L’adorazione del Santissimo Sacramento è la metà della mia vita, l’altra metà consiste nel fare amare Gesù e conquistargli anime”.
Era una missionaria ardente, adoratrice, una donna dal cuore indiviso.
Maria Ermellina non fuggì dinanzi al pericolo di una morte atroce.
Seppe vivere la parola del Maestro: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”. (Gv 15,13).

Maria di Santa Natalia (Jeanne- Marie Guerquin)

Nasce il 5 maggio 1864 a Belle- Isle- en- Terre (Bretagna- Francia). Figlia di contadini semplici e poveri, conosce gli svaghi innocenti e sereni delle famiglie di paese. Corre per prati e montagne, porta fiori alla statua della S. Vergine. Impara le prime nozioni dalla maestra del paese, e impara anche a lavorare a maglia, a cucinare, ad occuparsi degli animali domestici. Studia il catechismo e si prepara con entusiasmo alla Prima Comunione. Molto presto resta priva della mamma, e ancora giovane deve far fronte ai lavori di casa; ma l’ideale di darsi totalmente a Dio si fa strada nel suo cuore.
Nel 1887 bussa alla porta del noviziato, che si apre per ricevere la giovane bretone. I suoi occhi azzurri lasciano trasparire la limpidezza dell’anima.
Nell’agosto dello stesso anno comincia il noviziato. Il suo lavoro continua ad essere il più umile. Accudisce alle mucche, si occupa della campagna, lava la biancheria. La sua allegria nasce da una profonda convinzione: “Ogni lavoro è grande per chi lo compie con grandezza d’animo”.
Secondo lei, due cose bastano per farsi santa: unirsi intimamente a Dio ed amarlo nell’adempimento concreto dei piccoli servizi quotidiani.
Dopo il noviziato, va a Parigi, dove si vive una rude povertà. Maria di Santa Natalia l’accetta con gioia. Le sorelle la chiamano “Frate Leone”, in ricordo dell’amico intimo di Francesco d’Assisi.
La sua prima destinazione missionaria è Cartagine, nel Nord- Africa, ma si ammala e deve tornare in Italia.
A poco a poco scopre il segreto della croce e scrive così: Sono contenta di aver qualcosa da soffrire.
Quando si soffre ci si distacca dalla terra. Dio voglia che lo ami al di sopra di tutto, visto che Egli è stato tanto generoso con me e mi ha fatto del bene fin dalla nascita.
Nel marzo 1899 è destinata alla nuova fondazione di Taiyuan.
Poco dopo l’arrivo in missione, la sua salute desta grande preoccupazione alla comunità. Resta per vari mesi a letto col tifo; soffre senza lamentarsi, con una pazienza incredibile, finché gradualmente ricupera le forze.
Il lavoro non le manca, ma il 9 luglio la giovane bretone dagli occhi azzurri, stringendo il crocifisso fra le mani, è decapitata con tutte le sue compagne. “Non abbiamo paura.
La morte è soltanto Dio che passa” aveva dichiarato più volte.

Beata Maria Assunta

la prima missionaria che raggiunse gli onori dell’altare senza aver subito il martirio.
La Beata Maria Assunta Pallotta fmm nacque a Force (AP) il 20 agosto 1878 da Luigi ed Eufrasia Casali, primogenita di cinque figli. A causa della povertà della famiglia non poté seguire un corso di studi regolare ed andò subito a lavorare. La sua vocazione alla vita religiosa arrivò in tenera età. Il 4 maggio 1898 partì per il probandato delle FMM. Quando il 9 luglio sette missionarie dell’Istituto delle FMM furono martirizzate in Cina, nello Shansi, dai boxers, Maria Assunta chiese di essere inviata missionaria in Cina, pronta a dare la vita per Cristo e per la fede. La sua domanda fu accolta e l’anno successivo raggiunse la Cina. L’inverno del 1905 fu rigidissimo e nello Shansi scoppiò un’epidemia di tifo che colpì anche Maria Assunta. La sera del 7 aprile ricevette il viatico e venti minuti prima di morire un profumo misterioso inondò la stanza. Questo prodigio si ripeté nella strada dove fu portato il suo feretro e nella stanza dove ella aveva abitato.
Il 7 novembre 1954, Maria Assunta, chiamata dai cinesi, “la santa dei profumi”, veniva insignita da Pio XII dell’aureola dei beati. Ella fu la prima missionaria che raggiunse gli onori dell’altare senza aver subito il martirio.

Madre Teresalina

nata a Bilbao è una di quelle anime tutte d’un pezzo, che non sanno darsi a metà. “Son venuta qui per abbandonarmi totalmente a Dio” – scrive poco dopo il suo ingresso al noviziato – “faccia di me tutto ciò che vuole. Non temo nulla, l’anima mia è pronta ad ogni sacrificio pur di santificarmi e di salvare le anime”. L’avvenire proverà che non si trattava di semplici parole.

Madre Maria Francesca Zappelli

nata a Foligno, ancora novizia, scrivendo a casa dice: «Diventare sposa di Gesù, Francescana Missionaria di Maria c’è davvero da inorgoglirsi e non invidio certamente né titoli né la nobiltà di questo mondo. Oh, mamma, come sono felice e come ringrazio Iddio per avermi dato questa bella e santa vocazione».

Teresa Karlin

nata in Russia scrive: “Ho ripercorso una via tracciata da Dio. Egli ha avuto tanta cura di me come se io fossi tutta sola in questo mondo; se no, cosa sarei diventata? invece, mi ha fatto quasi un prodigio. Non voglio dire quello che ho io, ma quello che ha fatto Lui di me, attraverso tanti pericoli e tante difficoltà, da un paese lontano e in quel tempo tanto diverso da tutto il resto del mondo”.

Maria Ester della Croce

sempre alla ricerca del difficile equilibrio tra i due abissi, dell’Infinitamente grande e dell’umano infinitamente piccolo.

Marta Mazza

“Ho il tempo, tutto il tempo per lodare te, o Dio, e non mi basta: ho desiderio di eternità”.

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